A cosa serve la giornata mondiale contro la violenza sulle donne?
In molti casi è la data dei bollettini. Numeri. Elenchi di donne uccise dalla mano di chi troppo spesso diceva di “amarle”. Termine che metto volutamente tra virgolette. A volte può essere difficile dare a questi dati il giusto peso, correndo il rischio di mitridatizzare l’opinione pubblica. Ecco, questa deve essere la nostra prima sfida: fare in modo che il peso di questi dati non cali di una virgola e rimanga vivo ogni giorno dell’anno.
Mi piace però anche pensare che sia un giorno in cui ognuno di noi può rendersi conto delle dimensioni del problema ma, soprattutto, fare qualcosa per affrontarlo.
E io credo che per farlo davvero serva coraggio. Il coraggio di non fermarsi a guardare quei casi più eclatanti che costituiscono la punta dell’iceberg come inizio e fine del fenomeno, ma provare ad immergersi e scoprire che a volte quell’iceberg arriva fino sotto i nostri piedi, ci siamo appoggiati ma non ce ne accorgiamo.
Fuor di metafora, quello su cui vorrei porre l’attenzione ancora una volta sono proprio quegli atteggiamenti che in troppi casi sono ancora considerati “accettabili” ma che, osservati osservati dal punto di vista di chi li subisce, di accettabile non hanno niente.
Per farlo voglio fare riferimento al lavoro di Vincenzo Maisto, amministratore di una pagina Facebook dal nome Il Signor Distruggere che in questi mesi ha avuto particolare risonanza su vari canali di comunicazione.
Ciò che fa Vincenzo – al quale prego di concedermi il vezzo della sintesi – è mettere in luce alcuni fenomeni raccontati nel mondo dei social media – ma assolutamente presenti nel mondo reale – da cui si ha uno spaccato della società sul quale vale la pena riflettere.
Io credo che post e commenti parlino da soli.
Questo genere di comportamenti violenti – che vanno dal rompere un telefono, all’impedire di indossare un campo di abbigliamento, passando per gli insulti – non li vedrete sui giornali, non faranno “notizia”, non apriranno edizioni serali dei TG ma esistono, e sono gravi.
La gravità tuttavia è data non solo dal gesto in sé ma dal fatto che la violenza sia intrisa nella cultura, intesa in senso ampio, come elemento strutturale, al punto da non venire riconosciuta in quanto tale.
Simili fenomeni sono la prova che i valori fondanti della nostra società come l’uguaglianza, l’auto-determinazione, la parità di genere, la non violenza e diversi altri non possono in alcun modo essere dati per scontati ma richiedono un’educazione ad essi che deve partire sin dalla prima infanzia.
Non è mai troppo tardi per imparare che la violenza non è accettabile in qualunque modo essa si presenti, sia psicologica, fisica o verbale. Non è mai troppo tardi per imparare che
violenza è tutto ciò che dobbiamo subire contro la nostra volontà.
Come giustamente ha fatto notare il nostro Assessore ai diritti, Marco Giusta, non possono esserci attenuanti di alcun tipo: la responsabilità è sempre di chi esercita violenza.
Questo deve essere ancora più chiaro dinnanzi ai recenti episodi di cronaca che in questi mesi stanno avendo risonanza mondiale e nazionale. Si riapre il tema sulla definizione di “violenza”, lunghi editoriali si dedicano ad analisi semantiche per individuare i confini di quella ipotetica linea rossa che separa la violenza dall’avance, la volontà dal rifiuto e la libertà dalla paura.
E scopriamo da molti commenti in rete quanto sia vero che la violenza – più o meno consapevole – sia un elemento profondamente radicato nella nostra cultura.
Non posso però non ricordare anche la campagna #MeToo, la campagna contro le molestie sessuali lanciata dall’attrice Alyssa Milano su Twitter e diventata virale.
Scusate tanto se in questo periodo vi hanno stancato tutte queste denunce! Sapeste noi quanto ci siamo stufate di tutta una vita di #molestie!!! #MeToo
— Sofia Marinelli (@TopaM79) 21 novembre 2017
Se denuncia: perché vuole rovinare un uomo? Se non denuncia subito: perché è stata zitta? Se parla, ma non si è spogliata quando le è stato chiesto: ma perché lo dice se non ha ceduto alla molestia? Se sta zitta: perché si è concessa e vuole lavorare. Siete ridicoli #MeToo
— paola bacchiddu (@paolabacchiddu) 20 novembre 2017
E’ il racconto che le vittime fanno delle molestie subite ciò che vi dà fastidio.
Il muro della vergogna che vi teneva riparati, lo hanno buttato giù
e tocca a voi, ora, fare i conti la vostra di vergogna, e con il vero vostro lordume. #MeToo #quellavoltache— Lucia (@luciazampano) 16 novembre 2017
“Sono i molestatori che non devono molestare, non le molestate che avrebbero potuto non farsi molestare.”#MeToo #quellavoltache https://t.co/4LiRKkPjPu
— Opunzia Espinosa (@OpunziaEspinosa) 14 novembre 2017
Per l’italiano medio la prova che la #molestiasessuale è vera è se la donna ha rinunciato alla sua carriera. Ditelo anche alle donne che subiscono da porci a lavoro che forse dovrebbero rinunciare a lavorare per non farsi molestare. #metoo #sessismo #FaustoBrizzi
— Mary (@Mary68896685) 13 novembre 2017
È con questo spirito che la Città ha promosso la campagna È tutta un’altra storia accompagnata dall’hashtag #25NovembreOgniGiorno.
Noi vogliamo raccontare una storia diversa, che non prevede in alcun caso una confusione tra chi subisce la violenza e chi la agisce e che non usa termini “vittime” e “carnefici”, parole che sanno di fiction e che sono spesso presenti nei linguaggi di tutti i giorni, dai notiziari e giornali alle chiacchiere da bar, virtuali o meno.
Violenza è quando un’azione viene portata avanti senza la reciproca volontà, quando non ci si ferma davanti a un no o, peggio ancora, quando una donna viene messa nelle condizioni di non pronunciarlo neanche quel “no”, fino ad arrivare a ritenere la violenza come normale.
Quindi noi oggi siamo qui per ribadire che quel “no”, va detto, senza se e senza ma. Che a dirlo siamo in tante, che non siete sole e che le Istituzioni sono al vostro fianco.
Ringrazio l’Assessore ai diritti, Marco Giusta per aver curato le iniziative svoltesi in questa settimana, il CCVD – Coordinamento Contro la Violenza sulle Donne che ha ideato la campagna, il Club Zonta International, che si è occupato della colorazione di arancione delle fontane di piazza CLN, il gruppo IREN che ha fatto lo stesso per Palazzo Civico e Vincenzo Maisto per l’operazione editoriale che ha dato spunto a questo articolo, a tutti gli staff e gli uffici della Città di Torino che hanno reso possibile l’iniziativa e che, nell’ambito delle loro competenze, si impegnano ogni giorno per combattere la piaga della violenza di genere.