Lunedì e martedì il Consiglio comunale ha discusso e poi approvato il bilancio previosionale (sì, lo so, previsionale a 9 mesi tarscrosi ha poco senso) del 2014.
Nel mio lungo intervento ho ricordato che la nostra città è sempre più lacerata da un divario sociale che è drammaticamente in crescita e che, quotidianamente, si sta consolidando una fascia sempre più consistente di cittadini in condizioni di vulnerabilità: oltre a un decimo della popolazione torinese vive in povertà assoluta. Sì, 1 torinese su 10.
Non esistono scorciatoie da prendere e la strada che dobbiamo percorrere è sicuramente lunga e difficile, ma dobbiamo percorrerla tutti assieme. Abbiamo tutti, e noi amministratori in primo luogo, il compito di stare vicino alle persone più deboli che nei recenti cambiamenti economici e sociali null’altro hanno a difenderli se non la loro disperazione.
Quando sosteniamo che nessuno debba rimanere indietro, non intendiamo solo che a ciascuno vengano forniti i beni di prima necessità, ma che tutti siano accompagnati all’integrazione nella vita sociale della nostra città.
Inutile dire che Torino ha saputo reagire alla crisi e che, anzi, nel 2014 ne sarebbe uscita (cit. Fassino), quando ancora non si vede la luce in fondo al tunnel, nemmeno lontanamente.
Non è davvero più tollerabile questa sistematica mistificazione della realtà che si avvicina più alla propaganda che all’ottimismo del futuro: chi amministra ha il dovere di raccontare in modo lucido e trasparente cosa accade oggi senza dipingere una città che non c’è
(ecco la traccia dell’intervento fatto in aula sul bilancio previsionale 2014)
Cari Colleghi,
siamo inseriti in un perverso meccanismo nazionale dal quale sembra impossibile riuscire a liberarsi, ancora una volta ci troviamo ad esaminare ed approvare un bilancio previsionale al termine di un anno. Sono quei paradossi della logica che, purtroppo, la politica conosce bene e che causano il progressivo distacco tra i rappresentanti ed i rappresentati.
1. Premessa
Anche quest’anno ci è preclusa, di fatto la possibilità di entrare nel merito dell’atto più importante che il Consiglio Comunale possa approvare. Noi non possiamo infatti pensare di tradurre le nostre priorità politiche, la visione della società che legittimamente, perché eletti dai cittadini torinesi, portiamo in quest’aula in interventi e capitoli di bilancio perché, in realtà, null’altro facciamo se non ratificare decisioni assunte nei nove mesi precedenti; decisioni che non possono essere più modificate per loro stessa natura.
A quest’imperante incertezza si aggiunge l’arroganza di un Governo che, a pochi giorni dalla scadenza dell’approvazione dei bilanci degli Enti Locali, arriva a tagliare, direi notte tempo, una parte dei trasferimenti del fondo di solidarietà. Non mi sento di entrare nei dettagli, già molto l’Assessore Passoni ha detto in commissione, ma mi preme rimarcare la gravità politica dell’atto.
Siamo realmente, come qualcuno ha avuto modo di affermare in commissione, in un’emergenza democratica: la giunta e il Consiglio Comunale, tanto la maggioranza quanto l’opposizione, sono esautorati nei fatti dalle loro prerogative garantite dalla Costituzione, dalla Legge e dallo Statuto della nostra Città.
Non potete infatti, carissimi colleghi della maggioranza, neppure voi sfidare il tempo ed andare a modificare ciò che ormai è stato fatto dall’inizio dell’anno; e sugli interventi da qui al termine del 2014 siete chiamati, sostanzialmente, ad un voto di ratifica.
Ma questo è ciò per cui siamo stati eletti?
Questo Governo che avrebbe dovuto cambiare l’Italia grazie, in particolare, a questo nuovo Partito Democratico mi sembra che sia invece un presidio della continuità del piano inclinato che l’Italia ha intrapreso e per il quale non esistono freni. Lo posso affermare perché lei, signor Sindaco, non solo in qualità di primo cittadino di Torino ma, ancora di più, quale Presidente dell’ANCI, nulla è riuscito a fare per bloccare questa ennesima violenza del Governo centrale nei confronti dei comuni d’Italia; lo posso affermare perché questo governo nulla ha fatto per rispettare effettivamente l’autonomia degli Enti Locali, dando pienamente agli amministratori locali la responsabilità connessa alla loro funzione democratica.
Ecco quello che dicevo in principio: ancora una volta è l’irrazionalità imperante che ci governa e che sarà usata, ogni qual volta sarà utile, come scusa per ciò che non è stato fatto da qualche amministratore, ministro, sindaco o presidente.
A noi, cari colleghi, è concesso al massimo di discutere di temi che riguardano la nostra comunità, ma nella pratica ci è preclusa la programmazione; Signor Sindaco, la programmazione vera e non gli annunci che numerosi si susseguono da Lei e dal Suo Presidente del Consiglio, da ora fino al 2026, ma che poi restano solo illusioni e non reali progetti per il futuro
Ecco cari colleghi cosa intendo per programmazione, l’esatto opposto degli annunci roboanti!
Forse per qualcuno è un onorevole compito quello di fare semplicemente gli esattori delle tasse per conto dello Stato centrale, fare da muti supporter che contribuiscono a far quadrare i conti a Roma, per me no! Un esempio: quel “patto di stabilità” che voi, si voi come maggioranza politica di questa città e, ormai da anni, di questo Paese, continuate a sostenere di cambiare ma che vi guardate bene da modificare.
2. Quale modello di sviluppo?
L’emergenza è diventata, purtroppo, un fattore costante e stabile, tanto da far perdere di consistenza alla stessa parola. Non si tratta più infatti di un momento passeggero, di una piccola o grande crisi economica, dalla quale prima o poi si uscirà e tornerà tutto come prima: la festa è finita! Il modello industriale, produttivo e sociale è ormai attraversato da terremoti che ne stanno cambiando la conformazione. Questo è un nuovo contesto economico, finanziario, istituzionale, culturale e societario a cui deve essere data una risposta. Lo si può combattere se non lo si condivide, noi lo facciamo ogni giorno, ma contemporaneamente ci si deve adattare per dare delle risposte.
Signor Sindaco, è per questo che è stolto e miope pensare che il vecchio modello di sviluppo ipotizzato a partire dalla fine degli anni ’90 possa essere ancora oggi attuale e la linea guida per le politiche cittadine.
La crisi economica- finanziaria degli ultimi anni ha infatti già fatto emergere molti limiti del modello di sviluppo urbano su cui ha fatto affidamento anche questa città: la domanda immobiliare che aveva alimentato la crescita di investimenti nelle costruzioni si è arenata. Nel quinquennio 2008-2013 gli investimenti in costruzioni si sono ridotti del 29% nella provincia di Torino e i dati sulle compravendite si muovono in modo parallelo: nel 2012 siamo tornati ai livelli del 2000 e nel primo trimestre 2012 le compravendite sono ancora calate del 7,3%. Come si può quindi ancora oggi pensare che il fattore trainante per lo sviluppo sia il rapporto con i costruttori? Bisogna prendere atto del fatto che si sia ridotta la possibilità per i comuni di utilizzare la “leva della fiscalità urbanistica”, che deve essere sostituita da altri fattori.
Dall’evidenza cruda di questi dati emerge come la crisi economica stia colpendo e quanto i segnali di sofferenza siano sempre più forti.
3. I numeri sono persone.
La nostra città è sempre più lacerata da un divario sociale che è drammaticamente in crescita. Si sta quotidianamente consolidando una fascia sempre più consistente di cittadini in condizioni vulnerabili. Oltre a un decimo della popolazione vive in povertà assoluta: sapete cosa vuol dire questo?
Che il nucleo familiare guadagna sotto agli 800 euro mensili di reddito (questa la soglia definita nel 2012 per una città del nord) e che sostanzialmente è in difficoltà ad acquistare beni durevoli, a fare qualche giorno di vacanza. Si tratta di nuclei famigliari in condizioni di disagio abitativo, che fanno fatica a far fronte a spese inattese e spesso hanno arretrati per pagare l’affitto, le bollette, i prestiti. Uno su dieci!
Oltre a coloro che sono in povertà assoluta crescono le fasce vulnerabili, coloro che rischiano di passare allo stato di povertà dall’oggi al domani: nuclei monogenitoriali, donne anziane sole, famiglie numerose, famiglie straniere, lavoratori precari e soprattutto i giovani precari.
Non solo! Siamo in una città in cui le zone ricche sono sempre più ricche, quelle povere sempre più povere. La crisi ha accentuato la polarizzazione dei valori immobiliari tra le diverse zone urbane: i prezzi crescono dove erano già alti. Il rapporto Rota ha evidenziato come 14 quartieri su 27 hanno estremizzato la propria posizione e il destino dei quartieri è andato divaricandosi. La Torino dei ricchi è sempre più ricca; quella dei poveri è sempre più povera.
Signor Sindaco, per cortesia, la smetta di dire che Torino non è piegata dalla crisi, la smetta di fare annunci in perfetto stile Renziano come quello infelice del dicembre scorso: “Nel 2014 Torino fuori dalla crisi”. La smetta di dipingere una città che non c ‘è. Pur cercando di comprendere la vostra necessità di instillare ottimismo, non posso però tollerare questa sistematica mistificazione della realtà che si avvicina più alla propaganda che all’ottimismo del futuro: chi amministra ha il dovere di raccontare in modo lucido e trasparente cosa accade! Smettetela di sbandierare dinamismo e grandi trasformazioni dichiarando ad esempio “Torino è la città più dinamica di Italia”, di annunciare progetti faraonici da qui al 2026 per coprire ciò che fino ad oggi non è stato fatto. La realtà è che la nostra Torino è ormai entrata in una crisi sistemica: le aziende chiudono, i giovani non trovano lavoro, le attività commerciali quotidianamente lasciano sfitti i negozi, il numero di ore di cassa integrazione è in costante aumento. Nel mese di Agosto Torino è stata la provincia che ha richiesto più ore di ammortizzatori di Italia con un incremento del 270% su luglio mentre in tutte le altre province si sono registrate diminuzioni. Molto più che in altre grandi città d’Italia noi stiamo vivendo gli effetti perversi del combinato disposto della crisi mondiale e finanziaria, della bolla oramai scoppiata della Torino Olimpica e dell’inerzia della politica.
In questo preoccupante quadro la struttura amministrativa del nostro Comune dovrebbe avere un ruolo di sprono e di catalizzatore delle migliori energie della nostra città, dovrebbe aiutarci a reagire e non a narcotizzare le menti con quinte teatrali dipinte che fanno intravedere magnifiche prospettive inesistenti!
4. Un nuovo sviluppo con risorse limitate.
Non possiamo più pensare ad un modello di sviluppo che si regge sugli equilibri finanziari del modello pre olimpiadi. Non possiamo più pensare ad una città trainata da una Fiat, che sì signor Sindaco, ha di fatto abbandonato la nostra città. Per fare un esempio: il ridimensionamento della produzione della Fiat a Mirafiori (-62% di auto prodotte dal 2011 al 2013) non è stato assolutamente compensato dalla riapertura a gennaio dello stabilimento Bertone dove si producono vetture di alta gamma. Questo ce lo dicono i numeri Signor Sindaco!
Dobbiamo pensare ad un modello che in cui vengano ridefiniti gli strumenti urbanistici, finanziari e fiscali. Dobbiamo rivedere e ripensare i paradigmi del modello di crescita e sviluppo.
Dal punto di vista urbanistico è impensabile che il motore di sviluppo per la riqualificazione continui ad essere il grande centro commerciale: così scarichiamo su altre fasce, quali i piccoli commercianti, gli effetti drammatici della crisi. L’obiettivo dell’amministrazione deve essere di rivitalizzare le comunità e questo deve avvenire anche attraverso la leva della progettazione urbana: ogni quartiere ha le proprie dinamiche e la sua comunità, la comprensione e la soddisfazione delle esigenze delle persone devono essere il cardine delle scelte. Ridisegnare il territorio, decidere il proprio modello di trasformazione urbana, incide fortemente anche sul modello societario e culturale con cui vogliamo disegnare questa città. Il luogo e lo strumento di aggregazione che vogliamo incentivare è il grande centro commerciale secondo un modello standard uguale in ogni parte del mondo oppure un sistema policentrico che valorizzi le specifiche, come una via pedonalizzata, il commercio di prossimità o i nostri mercati cittadini?
Cosa vogliamo: aree pubbliche, magari cogestite da giovani e anziani, o il corridoio di un mega supermercato?
Le risorse a nostra disposizione come dicevo prima sono sempre più esigue. Anche per questo non può esserci nel cittadino torinese nemmeno il minimo dubbio che anche solo un centesimo di quanto spende l’ente pubblico non sia impegnato nel miglior modo possibile.
Purtroppo però oggi non è così. Ricordo a tutti che nel dicembre 2013 veniva eseguito da Demos un sondaggio sul tema Stato, tasse e servizi poneva la seguente domanda: “Secondo lei, lo Stato dovrebbe soprattutto cercare di diminuire le tasse o potenziare i servizi pubblici?” Nel 2005, in risposta a questa domanda, gli italiani chiedevano maggiore coerenza tra tassazione ed erogazione di servizi; nel 2013, otto anni dopo, tra crisi economica e disillusione sulle capacità delle istituzioni di garantire la giustizia sociale, le risposte si sono letteralmente rovesciate.
Oggi gli italiani vogliono solo pagare meno tasse, sicuramente perché non ce le fanno più ma soprattutto perché in questi anni si sono convinti che sia meglio “sbrigarsela per proprio conto” perché il potere pubblico non fa ciò per cui gli italiani pagano le tasse.
E allora, è proprio quando le risorse sono limitate e la sfiducia è alta, che il pubblico deve interrogarsi su come ridistribuirle in modo ottimale, trasparente e meritocratico per far sì che siano funzionali ad un modello dove il pubblico e il privato si incontrano nell’ottica di perseguire un obbiettivo ben definito. Basta alle spartizioni a pioggia e tutto ciò che non porta risultati chiari, concreti e misurabili. Non basta più sostenere ad esempio che un certo evento porta benefici al territorio: quanti? Qual è la ricaduta economica? Qual è l’obiettivo di medio termine?
Un esempio a tal proposito possono essere gli investimenti nel settore della cultura. Sono tre anni che in sede di discussione di bilancio previsionale, sempre ad anno praticamente concluso, ci diciamo le medesime cose, lamentando l’impossibilità di programmare e la scarsità di risorse. Al terzo anno però che si ripropone lo stesso problema, non ci si può più lamentare! È infatti necessario ripensare al modello di finanziamento del mondo culturale che è cambiato dal decennio scorso. Noi come parte politica di minoranza abbiamo avanzato una proposta per aprire la discussione, ma ci sembra di percepire una certa frizione verso qualsiasi forma di cambiamento in questo campo.
5. Ripartire dalla comunità.
Il rapporto cittadino-istituzione dev’essere ridefinito mettendo al centro il ruolo partecipativo del cittadino -questione che sosteniamo da tempo – e in questo la riforma del decentramento ha un ruolo fondamentale. Deve certamente garantire la maggiore efficacia ed efficienza possibile nell’erogazione dei servizi e nella raccolta dei fabbisogni, ma dal nostro punto di vista è fondamentale in questo particolare momento storico fare della partecipazione un nodo focale del nuovo decentramento: strumenti innovativi di consultazione, informazione e deliberativi devono essere implementati regolarmente.
Il decentramento a cui stiamo assistendo però sembra essere uno strumento di lotta interna alla maggioranza, in particolare del suo partito politico caro Signor Sindaco. Lo abbiamo potuto vedere anche nella formazione di questo bilancio: so che Lei è a conoscenza dello spettacolo indegno che si è visto nelle circoscrizioni in fase di approvazione del Bilancio, pareri negativi deliberati su giustificazioni al limite del ridicolo che celavano in realtà uno scontento generale per la riforma del decentramento che ci stiamo apprestando a varare. Abbiamo visto delibere scritte a tavolino tra Presidenti di circoscrizione, pubblicate su giornali on-line ancora prima di essere presentate nei consigli competenti, per dare un segnale politico, strumentalizzando di fatto l’atto del bilancio in modo del tutto irresponsabile. In questa degenerazione si aggiunge il fatto che per l’ennesima volta non ha pesato il valore della razionalità delle scelte ma la logica del “chi urla di più, chi fa più scena, chi fa sentire di più la sua voce”.
Contano di più gli equilibrismi politici perché signor Sindaco questa è l’unica spiegazione all’aver deciso in questo secondo taglio lineare imprevisto di mettere allo stesso livello il decentramento con l’istruzione e il welfare. Sarebbe stato più giusto spalmare anche sulla spesa non impegnata (1,3 mln circa) del decentramento quel taglio del 9% circa, andando anche lì a salvare però i capitoli dedicati al welfare e all’istruzione. Eppure non è stato fatto, l’equilibrismo politico per l’ennesima volta prevale sulla visione unitaria della città.
Tutto ciò è un pessimo segnale, caro Signor Sindaco perché così facendo quel grande progetto di ricostruzione del valore di comunità, di partecipazione e di senso di appartenenza che stiamo provando a fare in sede di revisione del decentramento viene vanificato. Le circoscrizioni o sono il luogo naturale di partecipazione della cittadinanza oppure sono inutili; non possono diventare, come sono attualmente, un posteggio politico per i trombati in altre elezioni oppure un trampolino di lancio per gli “assessorini” futuri, piuttosto che parlamentari o consiglieri regionali.
Se dunque prevarrà ancora una volta (come avvenuto in sede di decisione del secondo taglio) l’equilibrismo politico e non la razionalità e la visione unitaria della città per prendere le decisioni, bene a quel tavolo noi non ci siederemo più.
6. Conclusione.
Non esistono scorciatoie che ciascuno di noi e la comunità nel suo insieme può prendere per giungere più rapidamente ad una situazione di benessere. La strada che dobbiamo percorrere è sicuramente lunga e difficile. .Noi tutti, quali amministratori della nostra Città di Torino abbiamo quindi, prima di ogni altra cosa, il compito di stare vicino proprio a queste vittime, vicino alle persone più deboli che in questi cambiamenti null’altro hanno a difenderli se non la loro disperazione.
Noi, per quello che ci è possibile, dobbiamo supportarli e sostenerli, e non solo economicamente, ma in quanto persone nella loro pienezza. Quando sosteniamo che nessuno debba essere lasciato indietro, non intendiamo solo che a ciascuno dev’essere dato da mangiare e da bere ma che dev’essere accompagnato nell’integrazione nella vita sociale della nostra Torino
Ogni Torinese deve sentirsi parte di questa comunità che mette tra i valori, tra la priorità delle proprie azioni proprio lei e lui.