Intervista a la Repubblica: Ora basta con la caccia all'untore

Intervista a La Repubblica: “Ora basta con la caccia all’untore”

Intervista comparsa su La Repubblica del 23 marzo 2020

Ora basta con la caccia all’untore. È il tempo dell’unità, non della rabbia

di Jacopo Ricca

«In un Paese civile nessun cittadino deve sentirsi in diritto di sostituirsi alle autorità preposte ai controlli. Per questo ho pensato di parlare a tutti i torinesi e gli italiani con il mio messaggio. Stiamo vivendo un momento difficile e non il momento di far partire una caccia all’untore».

La sindaca di Torino, Chiara Appendino, in questo momento di emergenza e psicosi legato al coronavirus ha scelto una strategia comunicativa controcorrente. Ogni giorno aggiorna dalla sua pagina Facebook sulla situazione dell’emergenza in Città, ma lancia messaggi di solidarietà e cerca di non colpevolizzare nessuno: «Non è vero che siamo tutti uguali di fronte al coronavirus – spiega – Questo dobbiamo ricordarlo».

Sindaca Appendino, è preoccupata da questa caccia all’untore che si è scatenata?
«Negli ultimi giorni mi sono arrivate troppe segnalazioni di persone insultate dai balconi, aggredite verbalmente o fotografate per strada e subito messe alla pubblica gogna sui social network. In un caso si trattava di personale di un supermercato che si stava recando a lavoro, ma avrebbero anche potuto essere medici, infermieri, forze dell’ordine».

Perché ha pensato di doverlo sottolineare anche in uno dei video che fa quotidianamente?
«Quella che si è creata è una spirale che deve essere interrotta e ho sentito il dovere di provare a farlo pubblicamente, prima che potesse degenerare in qualcosa di peggiore. Un cittadino può fare riferimento alle forze dell’ordine per segnalare eventuali assembramenti o situazioni anomale. Era però necessario fare un richiamo all’unità e alla solidarietà tra di noi, anche se, magari, non è la cosa più popolare da fare in questo momento. Non possiamo farci contagiare dal virus della rabbia».

Perché questa rabbia che attraversa tutta l’Italia dal Nord al Sud?
«È inevitabile quando chiedi alle persone di limitare le proprie libertà e cambiare radicalmente le proprie abitudini di vita dall’oggi al domani. E purtroppo siamo solo all’inizio. Ciò che bisogna cercare di fare è stemperarla e non certo alimentarla, né, tantomeno, giustificare comportamenti potenzialmente violenti».

È d’accordo con la scelta di chiudere le fabbriche o bisognava chiudere subito tutto?
«Il governo ha preso decisioni sulla base di pareri tecnico-scientifici. Sono certa che abbiano cercato le soluzioni migliori per la popolazione e ho piena fiducia nel lavoro del presidente Conte e delle persone a lui vicine. In ogni caso è evidente che l’isolamento è la strada corretta da seguire per contenere il virus».

Non si doveva ascoltare chi chiedeva di riaprire tutto?
«Il governo ha saputo mantenere il sangue freddo e non ha fatto alcun passo indietro, anche se in quel momento c’era una sorta di ondata emotiva di ritorno».

Qual è stato finora il momento più duro?
«Il contesto cambia ogni giorno e, a ogni emanazione di un nuovo decreto o ordinanza, dobbiamo attivare un’intera macchina decisionale e organizzativa per adattare la città alle nuove misure.
A livello emotivo il momento peggiore della giornata è sicuramente quello del bollettino della Protezione Civile e delle vittime. A loro va il nostro pensiero».

Cosa la preoccupa di più per Torino?
Nell’immediato, la situazione sanitaria visto e considerato quello che stanno vivendo le città della Lombardia, ma vorrei sottolineare altri due aspetti.
Il primo è la tenuta psicologica e sociale della nostra comunità, messa a dura prova dall’isolamento. Penso a come possa vivere questa emergenza un nucleo famigliare di 4 persone costrette a vivere in 30 metri quadri. Lo ripeto non è vero che siamo tutti uguali di fronte al Coronavirus.
Il secondo, non meno importante, è la situazione economica e lavorativa. Penso al commercio di prossimità, agli artigiani, al comparto turistico e culturale, alla ristorazione, alle partite Iva. Ripartire sarà durissima, ma ce la faremo, certa che il governo saprà mettere in campo le risorse necessarie».

A cosa ha rinunciato delle sue abitudini personali?
«A tutto quello che hanno rinunciato anche gli altri cittadini. Pensando a quanto, per tantissimi di loro, possa essere ancora più pesante la situazione. Magari perché completamente soli, perché assistono altre persone con disabilità o con parenti malati che non possono raggiungere».

Come ha spiegato a sua figlia quello che sta accadendo?
«Le ho spiegato che c’è un virus, pericoloso soprattutto per le persone più fragili e che per proteggerle, e proteggere anche noi stessi, avremmo dovuto fare dei piccoli sacrifici come stare a casa per un po’, non vedere gli amici per un po’ e lavarsi spesso le mani. Adesso la vive come una sorta di missione e ogni sera quando rientro a casa mi chiede se abbiamo sconfitto il virus».

Quale sarà la prima cosa che farà quando tutto questo sarà finito?
«Probabilmente un pic-nic con la mia famiglia in un parco di Torino. Sperando di trovare insieme a noi tantissime altre famiglie e cittadini con cui tornare a ridere, parlare e riscoprire quanto, dopo una pandemia, possano essere belli i piccoli problemi quotidiani».

Questo cambio di prospettive muta qualcosa nelle decisioni sul suo futuro politico?
«Sinceramente non penso ad altro che alla gestione dell’emergenza e ogni energia è in campo è dedicata a questo e ai progetti che serviranno per la ripartenza della città. Il tema è oggi il futuro di Torino, del Paese. Il resto non conta».

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