Era ottobre 2013 e sui giornali si potevano leggere titoli come “Ecatombe di migranti”, “strage disumana” e “tragedia infinita”. Bene, siamo a distanza di poco più di un mese non è cambiato nulla. Dopo le passerelle di rito di politici italiani ed europei, dopo solenni promesse e grande pubblica commozione l’emergenza non è passata, è tornata solo in un angolo buio pronta ad essere illuminata all’occorrenza.
Qualche giorno fa il tema è prepotentemente riemerso con le immagini triste e truci che tutti noi abbiamo potuto vedere in televisione e sui giornali. Anche questa volta, ne sono certa, terminato l’effetto mediatico tutto tornerà nel dimenticatoio.
Quando parliamo di integrazione, e più volte se ne è discusso in quest’aula, vogliamo coinvolgere una molteplicità di attori, avviare un processo positivo di inclusione: chi arriva, chi accoglie, le istituzioni, gli attori sociali, i media. Non solo, la collaborazione tra il mondo della politica, la società civile, il privato sociale e la scuola sono fondamentali per creare un ambiente bendisposto nei confronti dei rifugiati.
Oggi noi dobbiamo avere il coraggio di parlare di fallimento. Per questa emergenza il governo ha speso quasi un miliardo e duecento milioni di euro, cari colleghi vi ricordo che è il bilancio dell’intero Comune di Torino di un anno, senza mettere in piedi alcuna azione positiva volta a risolvere il problema e integrare veramente queste persone.
E’ mancata tanto una politica europea quanto una nazionale e soprattutto un coordinamento e coinvolgimento dei territori.
Cari colleghi, pagare una diaria a tempo determinato, erogare una buona uscita di 500 Euro e parcheggiare presso qualche albergo queste persone non è stata un’azione positiva di accoglienza ed integrazione, ma solamente un procrastinare il problema e far ricadere le conseguenze su tutti noi.
Personalmente ritengo che l’integrazione si debba basare sull’accoglienza e la parità di diritti e di doveri. Noi, cari consiglieri, indipendentemente dall’idea che possiate avere di uguaglianza, parità di accesso e riconoscimento di diritti e di solidarietà, abbiamo dei doveri dettati dagli accordi internazionali ed in particolare dalla Convenzione di Ginevra. All’articolo 27 dice testualmente:
“Ogni Stato contraente concederà ai rifugiati che si trovano regolarmente sul suo territorio il diritto di eleggervi il luogo di residenza e di circolarvi liberamente, salve le limitazioni che i regolamenti sanciscono per gli stranieri in generale nelle stesse circostanze”
Ricordiamoci che qui stiamo parlando di profughi. Persone che hanno richiesto la protezione internazionale, persone che fuggono dalla guerra, dalla carestia. Persone che rischiano tutto, la vita loro e dei propri figli, pur di scappare da dove sono senza neppure sapere se arriveranno vivi alla meta. Sono persone disperate.
Lo sappiamo bene, non meno disperati sono quegli operai, quegli impiegati, quei pensionati che non riescono a pagare il mutuo o l’affitto e vengono cacciati da casa. Quelle famiglie che non hanno un tetto sicuro per i figli, che non possono costruire quel luogo nel quale coltivare gli affetti e sentirsi famiglia. Sono disperati quei giovani che non trovano lavoro, quei cinquantenni che non riescono ad essere inseriti nel mondo del lavoro e si sentono inutili, oltre che un peso per i loro cari.
Cari colleghi, qui non possiamo, e soprattutto non dobbiamo, fare una classifica della disperazione, mettere in ordine prima qualcuno e poi qualcun altro solo perché vediamo la realtà con la nostra ideologia.
Sarebbe la cosa più sbagliata in assoluto che noi, amministratori pubblici, potremmo fare. Saremmo noi a scatenare la guerra tra poveri. Queste, tutte, sono persone, sono ultimi e vanno aiutati nel miglior modo possibile dalla collettività.
Per questa ragione non posso che votare a favore della delibera, non posso non riconoscere un dato di fatto, che sale come grida di disperazione da questi fino alle orecchie di ciascuno di noi.
Nello stesso tempo devo denunciare che qui esistono delle responsabilità nazionali prima di tutto sulla destinazione dei soldi spesi finora.
Quante politiche di inclusione e integrazione si sarebbero potute fare con più di un miliardo di euro? Si sarebbero potuti supportare i profughi ma anche tanti altri bisognosi che i nostri servizi assistenziali ogni giorno ascoltano ed aiutano.
Caro Signor Sindaco,
proprio per ciò che ho detto finora devo chiedere a Lei di farsi garante di non costruire priorità di disperazione, di non rendere ancora più ultimi coloro che già lo sono nella nostra società.
Questo lo si fa non a parole ma dedicando tutte le risorse che riesce a trovare nel nostro, seppur disastrato, bilancio. Forse, questa è la mia opinione, sarebbe opportuno fare qualche festival di meno, qualche manifestazione di meno e destinare qualche milione di euro in più per le politiche.
La nostra sfida infatti, caro Sindaco e cari colleghi, è includere, non escludere e contrapporre. È poter dire a ciascuna di queste donne, di questi uomini, di questi ragazzi: la Città di Torino vi è vicina e fa tutto ciò che può per alleviare la vostra disperazione.
Questa è la sfida che attende Lei, caro Signor Sindaco, perché è lei a governare questa Città; noi consiglieri possiamo solo evidenziare i principi che poi lei dovrà tradurre in azione pratica.
Questa delibera non si può non votare, così come non si possono abbandonare quelle donne e quegli uomini, italiani, comunitari ed extracomunitari, che ci chiedono aiuto.