(traccia dell’intervento in aula sul bilancio previsionale 2015)
Caro Signor Sindaco,
caro Presidente,
cari Colleghi,
Anzitutto vorrei ringraziare l’assessorato al Bilancio, gli Uffici e tutti coloro che direttamente o indirettamente hanno lavorato alla stesura di questo Bilancio di previsione; grazie per il vostro impegno e la vostra passione, questo vostro lavoro è l’evidenza della grande professionalità che c’è negli Uffici comunali.
Anche il 2015 è un anno molto complesso. Nonostante ci siano dei deboli segnali di ripresa, il nostro paese soffre lacerato da anni di crisi.
Nel novembre 2014 abbiamo raggiunto il triste record del peggior tasso di disoccupazione di sempre: 13.4% e il nostro paese registra la performance peggiore fra i PIIGS. Negli ultimi sei anni la situazione è andata peggiorando in tutte le metropoli italiane, con un aggravamento più accentuato nel mezzogiorno. Molti dati, che ben raccontano il quadro drammatico del nostro Paese, li ha snocciolati lunedì l’assessore Passoni, non vi tornerò ma mi preme sottolineare che purtroppo, come evidenziato nell’ultimo Rapporto Rota, quella Torinese è tra le province metropolitane in cui la quota dei senza lavoro è cresciuta di più dal 2008 ad oggi, separando così i suoi destini dalle altre aree settentrionali e collocandosi in una posizione pressoché intermedia tra il Nord e il sud del Paese.
Per il terzo anno consecutivo il tasso di variazione del numero delle imprese è negativo: nel 2014 Torino ha registrato il peggiore dato medio nazionale: -0,4%. Le imprese che chiudono continuano a superare quelle che aprono. Anche nel 2014, a fine anno, la provincia di Torino registra il più alto tasso di disoccupazione giovanile (49,9%), livelli più critici si registrano solo nel mezzogiorno.
Ad aggravare questo quadro si aggiunge la notizia di ieri secondo la quale la nostra città si riconferma la più “cassaintegrata d’Italia”: con 30,6 milioni di ore richieste nel primo semestre, superiamo Milano con 20.2 mln e Roma con 19,8 mln.
La disoccupazione giovanile sta colpendo tutti senza particolare distinzione di sesso o di livello di istruzione; nell’area torinese la contrazione in termini di assunzioni a bassa qualifica è stata del 60%, per quelli a medio-alta qualifica oltre al 50%. Non solo, tra chi trova lavoro la precarietà ha ormai assunto caratteri strutturali consolidati: diminuisce il lavoro a tempo indeterminato, diminuisce la durata media dei contratti a tempo determinato.
Aumentano, invece, gli sfratti nella nostra città: da 3513 del 2010 a 4.729 del 2014; cresce la domanda per accedere ad alloggi in case popolari: nel 2013 10.386 famiglie torinesi risultano in attesa di casa popolare e nel complesso del territorio provinciale la quota di domande insoddisfatte è aumentata prima lentamente (+14,1% tra il 2000 e il 2009) poi velocemente (+32,8% tra il 2009 e il 2012).
Le distanze tra cittadini benestanti e poveri continuano ad accentuarsi. Come ho già affermato in precedenza, la crisi sta assumendo caratteri ormai strutturali. Non si tratta di una emergenza passeggera, ma di un fattore costante e stabile che ha profondamente cambiato il nostro contesto economico, finanziario, istituzionale, culturale e sociale.
Qualche giorno fa il Fondo Monetario Internazionale, nell’ultimo report, ha dichiarato che per tornare ai livelli “pre crisi” per l’Italia ci vorranno vent’anni; quest’affermazione equivale a dire che non ci torneremo più. La cosiddetta “decrescita felice” è ormai in corso, che piaccia o meno, ma non è nè governata nè tantomeno “felice”, sicuramente per quelli che ai margini della società la devono subire.
Questi sono dunque i temi di politica economica con i quali nel breve e medio termine dovremo avere sempre più a che fare: la povertà, l’emergenza casa, la disuguaglianza, i poveri da lavoro.
E’ evidente che l’Ente locale, da solo, non può risolvere questioni così profonde e strutturali: noi facciamo scelte dirimenti definendo le priorità e traducendole in stanziamenti e, su questo, tornerò tra poco visto che ritengo profondamente sbagliate alcune scelte da Lei assunte. Resta però il fatto che non può certamente essere il nostro bilancio, da solo, di poco più di un miliardo a poter risolvere una situazione nazionale.
Per questa ragione mi preoccupa ancora di più la totale cecità di questo governo, che voi rappresentate in questo territorio, sul tema dell’emergenza sociale e della povertà. Accecati dall’approvazione del jobs act, vi interrogate solo sull’aumento dell’occupazione in termini quantitativi e non qualitativi: quali tipologie di contratto vengono privilegiate? quali fasce di popolazione stiamo andando a incentivare a rientrare nel mondo del lavoro? i più deboli o coloro che hanno già livelli di istiruzione molto alti? sta aumentando o diminuendo la povertà da lavoro?
All’aumento dell’occupazione, infatti, spesso non corrisponde una diminuzione della povertà tra le fasce più deboli e già povere. Non solo, invece di pensare ad un sistema di sostegno al reddito, presente in tutti i paesi civili, prevale ancora la condizione mentale per cui essere disoccupati è una colpa e non una condizione sociale. Voi avete preferito infatti dare gli 80€ o detrazioni fiscali a chi un lavoro e un reddito già ce l’ha, anziché attuare una misura universale a chi un reddito non ce l’ha, non potendo quindi nei fatti godere neppure delle detrazioni fiscali.
Questo governo continua ad etichettare l’implementazione delle politiche di tutela di chi è povero, peraltro presenti in tutti i paesi europei, come “assistenzialismo”, cosa che invece non è. Addiritura Renzi ha dichiarato che garantire un reddito minimo è incostituzionale, ma come lo può essere se in realtà si tratta proprio di applicare l’art 38 della Costituzione?
E Lei, Signor Sindaco che da presidente Anci vive sulla sua pelle l’incapacità di rispondere ai bisogni crescenti dei cittadini con le poche risorse che abbiamo, Lei che vede con i suoi occhi nella nostra città il crescente divario sociale per cui chi era ricco è diventato sempre più ricco e chi era povero è diventato sempre più povero (l’ascensore sociale, ma al contrario) dovrebbe essere lì a combattere in prima linea nel tentativo di garantire l’attuazione di strumenti che garantiscano la dignità e la possibilità di mobilità sociale.
Difficile non fare in questa occasione, durante la discussione dell’ultimo bilancio previsionale della sua giunta, una sorta di bilancio di mandato leggendo le linee programmatiche votate da quest’aula poco dopo il suo insediamento. E scorrendo quelle 40 pagine, le cose non fatte sono tante e per individuarle – in parte – basta leggere la incredibile, per non dire surreale, lista dei desideri presentata dal Partito Democratico come mozione di accompagnamento alla votazione di questo bilancio: efficientamento su AMIAT (ho perso il conto del numero di mozioni che l’aula ha già approvato sul tema); previsione di nuove forme di gestione dei rifiuti per quanto concerne i mercati (anche di questo ne abbiamo discusso non so quante volte); coordinamento dell’assessorato all’adolescenza, al lavoro e alla gioventù (le politiche giovanili che hanno iniziato a esistere solo dopo il rimpasto di giunta); promozione in collaborazione con altri enti di azioni per il sostegno alla nascita, allo sviluppo e alla localizzazione di iniziative economiche di PMI e giovani start-up; promozione di iniziative per la riqualificazione economica di aree della città; reperimento di risorse per avviare il piano di pedonalizzazioni (non doveva essere una per ogni circoscrizione nell’arco del mandato?), completamento della riforma ad oggi ancora arenata del decentramento.
Uno dei grossi vulnus è che in questi quattro anni purtroppo non è mai stato elaborato un piano strategico: e per piano strategico intendo un vero piano di azione e non delle sbrodolate pubbliche – abbastanza distaccate peraltro dalla realtà della macchina comunale – che, a differenza di quanto fatto 15 anni fa, non hanno portato alcun valore aggiunto.
Sono rimasta davvero colpita dall’ultimo fatto narrato dalle cronache cittadine, che mi auguro sia stato riportato in modo non del tutto corretto, e che -se vero – sarebbe lo specchio del distacco che c’è tra chi guida questa città e il funzionamento quotidiano della macchina amministrativa comunale. Certo, una telefonata di cortesia, va fatta, ci mancherebbe: ma come può Lei, il capo dell’amministrazione, telefonare ad un commerciante per farsi spiegare che sovente le pratiche burocratiche sono lente? Come può non sapere che i nostri dirigenti, posizioni organizzative e funzionari e impiegati si trovano spesso a lottare contro regolamenti e norme che questa amministrazione non è stata in grado di migliorare e di snellire, se non in una minima parte?
Vorrei sgombrare subito il campo da ogni fraintendimento: io non intervengo in difesa di una parte, di una categoria o di un gruppo di interesse. Sovente i giornali hanno interpretato la presentazione di emendamenti al Bilancio e mozioni da parte dei Consiglieri Comunali come un “mercato” nel quale ciascuno cerca di tirare un po’ di acqua al proprio mulino, accontentando il proprio elettorato di riferimento. Bene, colgo l’occasione per dire che non vale per noi. Non abbiamo mai avuto problemi a schierarci contro degli interessi particolari se questi confliggono con l’interesse generale della nostra città.
Come può dunque presentare in questo bilancio un taglio alle scuole municipali di 1,6 mln di euro e contemporaneamente portare a 3 mln di euro la cifra stanziata per le scuole paritarie?
Come si può pensare di spendere 1,2 milioni di euro per degli eventi all’Expo e 1,7 milioni di € per Torino 2015 Capitale dello Sport e poi non avere garantito oggi, senza dover prelevare dai 6 mln di fondo di riserva, i soldi per le mense dei nostri bambini a scuola e il servizio per i disabili?
Come si può pensare di far terminare a giugno la sperimentazione sul ticket di ingresso dei pullman turistici in Torino, si tratta di 50 euro massimo cioè 1 euro per passeggero circa, e poi non avere i soldi per mantenere il verde?
Come si può continuare a non vedere, nonostante il numero spropositato di interpellanze che abbiamo presentato, come la FAC, fortemente voluta da Lei, e queste “fondazioni” culturali – con i relativi fondi di dotazione che stanziamo – non siano controllate a sufficienza e non siano soggette a indirizzi politici di rigore e trasparenza in vigore oramai da anni nel nostro comune?
Cito solo l’ultimo caso per fare un esempio: la fondazione Torino Musei, controllata dalla città e beneficiaria di contributi annuali sostanziosi, deve nominare un nuovo direttore, fa una “call” pubblica, arrivano 18 curricula, i CV vengono esaminati da una commissione internazionale di esperti che stilano una graduatoria dove il primo classificato, un torinese, viene definito “pienamente rispondente ai requisiti del bando”. Ma chi nominano? Il terzo classificato, proveniente dai musei di Udine, “con lunga esperienza dirigenziale ma senza comprovate competenze orientalistiche”. Chi dovrebbe governare quell’ente, chiamato a rispondere nega al consigliere, che sarei io, l’accesso agli atti che dovrebbe essere garantito per legge, e poi mente, dichiarando in prima istanza a verbale che colui che era stato nominato era stato indicato all’unanimità dalla commissione come miglior profilo e poi in seconda istanza negando l’esistenza della graduatoria stessa. Le pare normale? Ricordo bene le sue parole quando in quest’aula anni fa, in uno degli scontri verbali, mi disse che nelle fondazioni culturali tutto era trasparente, accessibile, documentato e documentabile. Si ricorda? Le pare che sia così? Eppure non una parola di censura sig. Sindaco, non un provvedimento.
Come dicevo, la maggioranza che la sostiene quest’anno si è superata presentando una mozione “omnibus” che sembra tratta dal libro dei sogni. Questa mozione del Partito Democratico, da un lato, traccia un bilancio di ciò che questa amministrazione non ha fatto, dall’altro evidenzia la totale mancanza di coraggio da parte di questo Consiglio Comunale di prendere in mano quello che è il suo atto politico più importante. Non un emendamento di merito, non una assunzione di responsabilità che indichi dove tagliare e dove aumentare i fondi stanziati. Il rimando al fondo di riserva è un qualcosa di ridicolo: il fondo di riserva deve essere utilizzato per esigenze straordinarie di bilancio e quando le dotazioni si rivelano insufficienti. Il fondo dovrebbe essere l’ultima cosa a cui attingere, tanto è che l’utilizzo di tale fondo dipende solo dalla giunta e non dal consiglio che invece è responsabile e depositario del bilancio: l’atto più importante che traduce le priorità e le visioni politiche che ciascuno di noi ha in stanziamenti effettivi.
Non avete il coraggio di dire oggi che sarebbe meglio garantire sin da subito €400.000 euro ai disabili anziché alle marchette di Torino2015 o siete semplicemente concordi con quanto stanziato in questo bilancio così come è? Non avete il coraggio di dire oggi che è più giusto limare qualche talk show all’expo di Milano e spendere qualche risorsa in più sul welfare o la scuola dell’obbligo, o siete favorevoli a investire risorse fuori dal nostro territorio con ritorni pressoché nulli? Guardate che con la vostra mozione dei desideri che rimanda alla giunta non vi state scaricando dalla responsabilità delle scelte che oggi questo consiglio sta facendo. Cosa temete? Di destabilizzare la giunta? Di far arrabbiare qualche assessore? Le risorse non impegnate su capitoli di spesa pressoché ridicoli in un momento di crisi come questo ci sono, noi abbiamo presentato gli emendamenti, spetta al vostro buon senso tradurre le priorità politiche in stanziamenti di bilancio. E va fatto oggi, nell’atto che è competenza di questo consiglio e quindi il bilancio, non demandando le scelte ad un futuro fondo di riserva.
La Politica, cari colleghi, richiede coraggio e tra questi anche il coraggio, in scarsità di risorse, di tagliare da una parte per aumentare gli stanziamenti dall’altra. Richiede il coraggio di ripensare il modello di erogazione dei servizi e di separare ciò che è prioritario e intoccabile da ciò che non lo è. Non basta lavarsi la coscienza con un impegno futuro che scarica su altri le responsabilità, pensando così di compiacere il Riccardo III di turno.
Se escludiamo la diminuzione di circa 100 milioni di euro all’anno del debito, cosa lodevole il cui merito però va condiviso con ciascun torinese che ha contribuito a tale spesa e l’aver “messo in sicurezza i conti” che non dipendono più da introiti una tantum, continuo a vedere spesso prevalere gli equilibrismi politici all’interno della sua giunta e della sua maggioranza rispetto a scelte semplici e razionali che gioverebbero la nostra città. Un esempio: appunto la riforma del decentramento che Le ricordo nelle sue linee di mandato Lei avrebbe dovuto fare entro due anni e mezzo, nuovamente arenata dopo un lavoro enorme che ha visto anche grandi sforzi propositivi e propulsivi da parte dell’opposizione. Prima si diceva che l’iter si sarebbe concluso entro marzo, poi entro l’estate ora forse entro l’anno solare. Se la riforma, una buona riforma come quella elaborata ad oggi dalla commissione decentramento di cui orgogliosamente ho fatto parte e che ho contribuito a votare favorevolmente, non passerà anche in questo questo mandato, sarà Lei signor Sindaco responsabile della sopravvivenza di una struttura costosa, inefficace, insostenibile e incapace di rispondere alle esigenze dei cittadini.
E la prego, per i mesi che le restano di questo mandato, di non inseguire la più becera propaganda del premier in merito alla fiscalità. Lei lo sa bene che il rapporto tra fisco e cittadino è sempre più complesso, lei sa bene quanto dipenda il comune dal gettito di alcune imposte per poter garantire i servizi essenziali. Le recenti dichiarazioni del nostro premier in merito al progetto triennale di riduzione delle imposte sono la peggior propaganda che si possa sentire. Già perché le coperture dove saranno? Saranno di nuovo i comuni a fare da scarica barile come abbiamo già visto più volte accadere in questi anni? Sindaco, per circa 24 ore sono stata d’accordo con lei, incredibile ma vero: il suo primo commento a caldo che ho avuto modo di leggere a mezzo stampa era più che condivisibile. Peccato leggere poi una inversione di tendenza alla quarantottesima ora dalle dichiarazioni del premier.
In un clima di sempre maggiore sfiducia nelle istituzioni, il report fatto da demos nel 2014 è davvero preoccupante, giocare sulle tasse come leva di propaganda elettorale è un qualcosa di incredibilmente irresponsabile. La fiscalità è necessaria per garantire l’erogazione di beni e servizi essenziali ed è il primo meccanismo di redistribuzione e di lotta alla disuguaglianza. Il punto non è semplicemente spendere meno a botte di spending review per abbassare le tasse. Il punto è che siamo di fronte a uno scenario sempre più inquietante: i cittadini si sentono soli di fronte allo Stato (solo il 15% dei cittadini ha fiducia nello Stato, metà rispetto al 2010, 4 punti in meno di un anno fa), si sentono soli di fronte ai comuni e alle regioni (meno del 20% dei cittadini si fida delle regioni e meno del 30% dei cittadini dei comuni), si sentono soli di fronte alle istituzioni e alla politica. Il vero rischio, direi ormai concreto, è l’assuefazione alla sfiducia. Eppure sappiamo bene che la fiducia espressa dai cittadini nei confronti delle istituzioni, nonchè la partecipazione civica e politica favoriscono la cooperazione e la coesione sociale e consentono una maggiore efficienza ed efficacia delle politiche pubbliche. A questo dobbiamo mirare, ognuno nel suo ruolo.
Nessuno dubbio su anche solo un centesimo speso dalla macchina pubblica, massima trasparenza su ogni scelta, priorità assoluta ai settori quali il welfare e l’istruzione per garantire pari opportunità di integrazione e la tutela dei più deboli, coinvolgimento della cittadinanza tramite strumenti innovativi e partecipativi, come in parte è stato già sperimentato, sforzi per rafforzare il tessuto delle piccole e medie imprese affinché possano generarsi filiere il più possibili locali, forme di fiscalità locale e nazionale che mirino il più possibile a redistribuire.
Per fortuna anche questa consigliatura giunge al termine e non possiamo che augurarci che il 2016 veda finalmente un cambio di governo e cercheremo di far si che ciò possa accadere. C’è ancora moltissimo lavoro da fare affinché Torino possa divenire una comunità solidale dove nessuno viene lasciato indietro e sono certa che questa città avrà ancora un grande futuro. Continuo a pensare che la nostra forza siano le idee e i valori condivisi dalla comunità, perché la Politica non è un gioco di equilibri, non è una somma di interessi parcellizzati, ma è un futuro che tutti assieme si contribuisce a scrivere.
E noi continueremo a lavorare per questo.
Aggiungo qui nel post una citazione che non ho avuto modo di fare in aula.
“Tranne Riccardo, quelli contro cui ci battiamo preferirebbero che vincessimo noi piuttosto che il loro condottiero!”
Riccardo III, atto 5, scena 3, discorso di Richmond ai soldati